La maternità era un evento privato, in genere solo i familiari più stretti ne erano a conoscenza. Nonostante il suo stato, la donna conduceva una vita normale e continuava a lavorare fino al parto, senza risparmiarsi alcuna fatica.
L’unica gentilezza concessa era cercare di accontentarla quando aveva voglia di mangiare una determinata cosa: era credenza comune che, se non veniva esaudito il desiderio di un qualche alimento, il bambino sarebbe nato con una voglia sulla pelle, cun su disigiu.

Gli aborti erano frequenti e il corredo veniva preparato al termine della gravidanza: la camicina, il vestitino, la cuffietta …ma ancor più importante erano la medaglietta e lo scapolare che dovevano allontanare il male e proteggere il bambino.

Il parto avveniva in casa e la donna era assistita dalla madre, dalla suocera e, da inizio ‘900, da sa lavadora (la levatrice).
La donna partoriva su una stuoia, successivamente veniva spostata sul letto e il bambino fasciato ben stretto.

Per tutelare la salute della puerpera, solo dopo quaranta giorni dal parto poteva uscire di casa: come prima uscita, doveva recarsi in chiesa per il “rito della candelora” ed essere purificata al cospetto della Madonna del Carmelo.

Dal giorno successivo cominciavano i preparativi per il battesimo. Le morti infantili erano tanto frequenti che si cercava di battezzare il prima possibile il bambino, il rito era celebrato generalmente all’ottavo giorno dalla nascita.

Al battesimo non partecipava la madre, ma solo il padre e i padrini. La scelta dei padrini avveniva con molta cura. Si cercava sempre una persona che in paese avesse un certo status sociale, ad esempio, maestri o dottori, persone con un certo grado di cultura. Il rifiuto da parte del padrino era malvisto dalla comunità ed era una grave offesa per la famiglia. Tra genitori e padrini si instaurava un legame speciale segnato da un forte rispetto reciproco, si chiamavano gopai e gomai (compare e comare) e ci si dava del Voi.

In chiesa, il corteo era aperto da una giovane ragazza vestita con un grembiule ricamato e in braccio il bambino.

Il corredo dipendeva dal ceto sociale, poteva essere prestato del tutto oppure lo si poteva far tessere e ricamare appositamente, a seconda delle possibilità economiche della famiglia. Il bambino veniva vestito con un abito lungo e bianco, ricco di pizzi, ricami e merletti. Era importante che il bambino portasse con sé uno scapolare o una medaglietta della Madonna per allontanare ogni male.

Una volta battezzato, si festeggiava solo dopo il rito della candelora, quando la madre era ormai purificata e si poteva procedere con le foto di famiglia.

Si ringrazia per le testimonianze e le referenze fotografiche Claretta Lampis, Raimondo Boi, Iride Peis, Giandomenico Serra, Franca Pittau, Rosetta Casu, Pinuccia Dessì, Antonio Seruis, Rossella Dessì e il partner del progetto Roberto Maccioni.

Bibliografia

  • Agus, T., Lampis, C. (1992). Guspini cronistoria e immagini. Edizioni Tre T di Gianni Trois.
  • Orrù, R., Muscas, M. O. (2014). La vita in Sardegna. Grafica del Parteolla.
  • Turchi, D. (2016). Le tradizioni popolari della Sardegna tradizioni italiane. Newton Compton editori.

Progetto a cura di

Giulia Uccheddu

Alessio Seruis

Stefano Pusceddu